This Will Not End Well
Fino al 15 febbraio 2026 Pirelli HangarBicocca ospita “This Will Not End Well”, la prima retrospettiva di Nan Goldin in qualità di filmmaker e la più cospicua esposizione di slideshow mai presentata. La mostra, curata da Roberta Tenconi insieme a Lucia Aspesi, non inizia all’ingresso del percorso espositivo, ma più lontano, in un’oasi composta da sette strutture architettoniche, ciascuna appositamente concepita per accogliere la sua proiezione. Per raggiungere i padiglioni, progettati dall’architetta franco-libanese Hala Wardé, il visitatore deve compiere un viaggio nel vuoto della Navata, interrotto a metà strada da Bleeding (2025), un’installazione sonora realizzata in collaborazione con Goldin dal duo Soundwalk Collective, composto dall’artista Stephan Crasneanscki e dal producer Simone Merli.
L’intervallo sgombro che avvolge il visitatore all’entrata è controbilanciato dall’affastellarsi dei padiglioni, disposti come se fossero un porto domestico approdato nel deserto industriale dell’immenso capannone. Proprio il raccoglimento del villaggio di Goldin rievoca l’intimità dei nightclub che per primi avevano ospitato la sua opera seminale, The Ballad of Sexual Dependency. Nel 1986 Goldin era arrivata con il suo proiettore, per la prima volta in Italia, al club Plastic di Milano, punto di riferimento in città della cultura notturna. Il corridoio che conduceva alla consolle del dj nella prima sede del club, situata nell’allora periferico numero 120 di viale Umbria, sembra ricalcare il cunicolo che il visitatore percorre prima di arrivare nella sala di proiezione di ciascun padiglione della mostra. Un viaggio uterino che suggerisce l’aspetto rituale della visita, che è insieme immersione negli slideshow e trasloco fisico per raggiungerli.
Nan Goldin – Self-portrait with eyes turned inward, Boston, 1989
Il legame con Vivienne Dick e l’impegno politico
Venerdì 12 dicembre, nella Navata di Pirelli HangarBicocca, si è tenuta una conversazione tra Nan Goldin e l’amica regista irlandese Vivienne Dick, preceduta dalla proiezione del suo film in Super 8 Liberty’s Booty (1980). La dedizione di Goldin a Dick è testimoniata dal rapporto che le ha legate fin da subito, sul piano affettivo e professionale, fondato su evidenti affinità elettive.
VD: “I met Nan just after she’d arrived to New York from Boston. We became friends straight away. She didn’t know many people, or what was the scene, so I showed her some of the places, like the Mud Club.”
NG: “Vivian had a big influence on my use of music. It was her I got the idea of using snippets of songs over images, because in my work there was no sound at the beginning.”
Nan Goldin – French Chris on the convertible, New York City 1979
Benché i loro lavori siano realizzati con supporti diversi, una utilizza la macchina fotografica e l’altra la cinepresa, entrambe riprendono stralci di vita quotidiana degli amici che le circondano. L’approccio con cui vengono concepiti i lavori rispecchia quello della loro presentazione, destinata non alle gallerie newyorkesi di uptown, ma a contesti atipici come il CBGB o la Fun Gallery, spazi che Corrado Levi ha efficacemente definito “liquidi”, in cui “non sai mai se esci per sapere o per divertirti o per sapere divertirti”.
NG: “All of us were people that ran away from America. We wanted to get away from normative society. And it was all kinds of sexuality, of interests, of art, of music. The cement was seeing each other’s work. The cement was friendship.”
VD: “The works that we made were shown initially to our friends in very small venues. It wasn’t at all the plan to make something commercial that would be distributed.”
Nan Goldin – Elephant mask, Boston, 1985
L’impegno politico di Goldin è una componente spontanea del suo lavoro, concretizzatosi in progetti come P.A.I.N., l’organizzazione da lei fondata contro la crisi degli oppioidi sostenuta dalle case farmaceutiche statunitensi (v. il documentario di Laura Poitras, All the Beauty and the Bloodshed, 2022), la denuncia del genocidio palestinese (ogni proiezione termina con la frase “In solidarity with the people of Palestine”) e dell’attacco sistematico ai diritti delle persone trans negli Stati Uniti, contro il quale ha attivato una raccolta fondi a sostegno del Sylvia Rivera Law Office, che offre assistenza legale gratuita a persone transgender. Se il privato è politico, però, ogni elemento del quotidiano ripreso dalle due artiste ha una valenza che trascende la sua mera rappresentazione autobiografica: anche i lavori più personali assumono l’aspetto di slogan mai fini a sé stessi.
VD: “It’s not just political about McDonald’s, about male-female relationships, about the sex work. It’s political on all kinds of levels.”
NG: “I prefer animals to human beings at this point. We’re the only species that kills for pleasure. Now I’m making a new piece about extinction, You Never Did Anything Wrong. Part Two. I came to Milan to see Vivian, but also to film the birds, because this is the season of the murmuration in the sky of the European starlings. So I’ve been filming that the last few days.”
Nan Goldin – Jimmy Paulette and Misty, New York, 1991
La collocazione in un contesto istituzionale di una mostra come questa, che non è pensata per occupare la noia domenicale delle famiglie, potrebbe suscitare il tormento di “come presentare opere che parlano di AIDS alle scolaresche”, un dubbio stemperato con percorsi di visita mirati per quei bambini ai quali lo Stato ancora non assicura un’educazione sessuale. Ad assillare Goldin, però, è più la modalità di fruizione della mostra da parte degli adulti, avvisati all’ingresso dall’invito a non effettuare foto o riprese. Il recupero di questa dimensione intima, spontanea ed effimera dell’esperienza empirica, ancora una volta, imita le ideali modalità di utilizzo dei nightclub, gli spazi che, prima dei musei, hanno ospitato le sue proiezioni in giro per l’Europa negli anni Ottanta.
NG: “My work was first appreciated in Europe long before America. I traveled around with all those slides from The Ballad. So that’s how I got to know Berlin, Copenhagen, Sweden, Amsterdam, not Italy. Maybe. I think I showed The Ballad at a club in Milan, actually in 1984 [1986 ndr]? What was the famous club?”, “Plastic” (risponde il pubblico), “Plastic, yeah. That was really wild. That was a good club.”
Nan Goldin – Heart-shaped bruise, New York City 1980
Le opere in mostra
Le opere esposte scorrono filate per 192 minuti: The Ballad of Sexual Dependecy (1981-2022), circa 700 ritratti dei membri della polimorfa “tribù” di Goldin; Memory Lost (2019-2021), racconto per immagini sulla dipendenza da stupefacenti; Sirens (2019-2020), montaggio di brevi estratti di film che rappresentano gli effetti delle droghe; Fire Leap (2020-2022) dedicato all’innocenza dell’infanzia; The Other Side (1992-2021), tributo alle persone transgender scattate tra il 1972 e il 2010; Stendhal Syndrome (2024), successione alternata di dipinti e sculture messi a confronto con ritratti di amici; You Never Did Anything Wrong (2024), film che mette insieme il percorso dell’eclissi e la coabitazione fra umani e animali domestici.
L’ultima opera, Sisters, Saints, Sibyls (2004-2022), collocata all’interno del Cubo, è un omaggio dell’artista alla sorella maggiore, Barbara Holly Goldin, morta suicida all’età di diciotto anni. Fotografie e video scorrono sul trittico di schermi, accompagnate dalla musica che fa entrare lo slideshow nelle orecchie del visitatore. Le balaustre tremano quando rimbomba l’eco della voce celestiale di Elizabeth Fraser dei Cocteau Twins, mentre canta la versione di Song To the Siren di Tim Buckley pubblicata nel 1983 dal gruppo This Mortal Coil (Did I dream you dreamed about me?/Were you hare when I was fox?). L’installazione, che segue la configurazione originaria del primo allestimento del 2004 nella cappella dell’Hôpital de la Salpêtrière a Parigi, comprende anche un letto in cui è steso il corpo di Barbara e poco lontano, un manichino di cera, il padre, che osserva la scena dall’alto di un piedistallo.
Nan Goldin – Gravestone in pet cemetery, Lisbon
BIBLIOGRAFIA
Levi Corrado, “Milano liquida”, in È andata così: cronaca e critica dell’arte 1970-2008, a cura di Corrado Levi (Milano, Electa, 2019).
Goldin Nan, This Will Not End Well, Göttingen, Steidl, 2024.
Goldin Nan, Heiferman Marvin, Holborn Mark, The Ballad of Sexual Dependency, New York, Aperture, 2012.
CREDITS
Header: Nan Goldin – Joey at the Love Ball, NYC, 1991
All images courtesy of Nan Goldin Studio e Pirelli HangarBicocca
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GABRIELE DELLA MADDALENA: After graduating in History and Criticism of Art, he began working as an archivist at an antiquarian bookshop specializing in 20th-century avant-garde movements. He currently contributes to Lampoon and Style Magazine, and works as an art director for Club Domani in Milan.